Ristrutturazione edilizia: nuove indicazioni dal Consiglio di Stato in relazione a tipologia di interventi e titoli abilitativi
Ristrutturazione edilizia: nuove indicazioni dal Consiglio di Stato in relazione a tipologia di interventi e titoli abilitativi
A cura di Avv. Daniele Bracci e Dott. Andrea Campiotti
I Giudici di Palazzo Spada delimitano i confini della nozione di “ristrutturazione edilizia” in coerenza con l’attuale quadro normativo di riferimento indicando le condizioni che devono essere osservate per gli interventi di demolizione e ricostruzione
INDICE
- Le ragioni della controversia e il giudizio di primo grado
- La nozione evolutiva di “ristrutturazione edilizia” e il quadro normativo di riferimento
- I confini della “ristrutturazione edilizia” tra continuità e neutralità dell’intervento
- Considerazioni conclusive
Le ragioni della controversia e il giudizio di primo grado
Con la recentissima sentenza del Consiglio di Stato, Sez. II, 4 novembre 2025, n. 8542, intervenuta su un caso di demolizione e ricostruzione di un edificio nel Comune di Milano, sono stati forniti importanti chiarimenti in ordine alla nozione di “ristrutturazione edilizia” nonché ai titoli abilitativi necessari per gli interventi ricompresi in tale categoria.
In particolare, la società proprietaria di un fabbricato, intercluso all’interno di un cortile condominiale, aveva provveduto alla sua demolizione a seguito della presentazione di una SCIA edilizia avente ad oggetto opere di bonifica preventiva alla demolizione e ricostruzione ai sensi dell’art. 242-bis del D.lgs. n. 152/2006 (c.d. “Codice dell’ambiente”) e presentato, a distanza di circa quattro anni, un’ulteriore SCIA alternativa al Permesso di costruire (c.d. “Super-SCIA”) per l’intervento di demolizione e ricostruzione del medesimo edificio.
In seguito, alcuni condomini residenti negli edifici contigui all’area di intervento avevano presentato al Comune un’istanza per inibire l’esecuzione dei lavori di ricostruzione del fabbricato e, non avendo ricevuto riscontro, avevano proposto ricorso dinanzi al T.A.R. Lombardia – Milano avverso il silenzio serbato dall’Amministrazione.
Senonché nelle more del giudizio, il Comune aveva concluso il procedimento dichiarando la conformità urbanistica ed edilizia del progetto di demolizione e ricostruzione assentito con SCIA, dandone comunicazione ai ricorrenti, i quali, a questo punto, avevano deciso di agire in via giudiziale per ottenere l’annullamento del titolo abilitativo nonché il risarcimento dei danni.
Il T.A.R. aveva accolto la domanda di annullamento, giudicando fondate le questioni sollevate dai ricorrenti e, in particolare, aveva ritenuto che la società edile avrebbe dovuto ottenere un Permesso di costruire, in luogo della SCIA, stante l’assenza di “continuità” temporale tra il fabbricato demolito (nel 2018) e quello ricostruito – con sedime e sagoma modificati – e la conseguente qualificazione dell’intervento quale “nuova edificazione”.
Avverso la sentenza di primo grado, il Comune aveva proposto appello chiedendone la riforma, contestando, in particolare, la qualificazione dell’intervento edilizio oggetto del giudizio quale “nuova edificazione” anziché “ristrutturazione edilizia”, in violazione dell’art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380/2001 (c.d. “Testo Unico Edilizia”, di seguito anche solo “TUE”).
Nel pronunciarsi sul giudizio di prime cure, il Consiglio di Stato ha innanzitutto ripercorso la lunga stratificazione normativa che ha caratterizzato la nozione giuridica di “ristrutturazione edilizia” e la tipologia di interventi ad essa riconducibili, assumendo poi una posizione sulla questione concreta sottoposta all’esame del Collegio, vale a dire la legittimità dell’intervento eseguito.
La nozione evolutiva di “ristrutturazione edilizia” e il quadro normativo di riferimento
Nello specifico, i Giudici di Palazzo Spada hanno riassunto i principali mutamenti normativi occorsi con riferimento agli interventi di ristrutturazione edilizia (da ultimo, il D.L. n. 76/2020, c.d. “Decreto Semplificazioni”) i quali, in una logica di progressiva estensione del novero di opere eseguibili in assenza di P.d.c. ovvero in forza di SCIA, hanno portato all’individuazione di tre distinte ipotesi di ristrutturazione edilizia:
- ristrutturazione conservativa, che non comporta la demolizione del preesistente fabbricato ma che mira al suo restauro o risanamento mediante opere che ne migliorano la funzionalità e sicurezza mantenendo inalterate sagoma e struttura originale;
- ristrutturazione ricostruttiva, finalizzata alla demolizione e ricostruzione di un edificio che mantiene inalterate sagoma, volumetria e caratteristiche essenziali dell’immobile preesistente;
- “demo-ricostruzione”, finalizzata al ripristino di un fabbricato demolito o crollato con variazioni di sagoma e volumetria rispetto al fabbricato preesistente.
La corretta qualificazione dell’intervento edilizio risulta funzionale all’individuazione del relativo titolo abilitativo.
Al riguardo, come evidenziato dal Giudice amministrativo, l’art. 23 TUE consente di realizzare mediante SCIA alternativa al P.d.c. “gli interventi di ristrutturazione di cui all’art. 10, comma 1, lett. c)” che elenca le ipotesi di ristrutturazione edilizia più impattanti, vale a dire quelle che:
- portano ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente;
- comportano anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici;
- comportano mutamenti della destinazione d’uso (limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, ossia immobili ubicati nei centri storici);
- comportano la modifica della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio;
- comportano la demolizione e ricostruzione di edifici situati in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, anche per il ripristino di fabbricati crollati, con modifica di sagoma, prospetti e sedime o delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche preesistenti e anche con incrementi di volumetria.
A tali interventi previsti dalla normativa nazionale, la L.R. n. 12/2005 – “Legge per il governo del territorio” ne ha aggiunti altri, parimenti a quanto accaduto in altre regioni con le loro leggi urbanistiche.
Inoltre, con specifico riferimento agli interventi che comportano il mutamento della destinazione d’uso dell’immobile, si legge nella pronuncia in commento, l’art. 23-ter TUE sottopone a SCIA ordinaria per i mutamenti senza opere, con opere rientranti nell’edilizia libera o soggetta a SCIA, fermo restando che la stessa norma prevede che possano essere definiti con legge regionale “quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività”.
Dalla qualificazione dell’intervento come ristrutturazione o nuova costruzione discendono conseguenze ulteriori rispetto all’individuazione del titolo abilitativo.
Infatti, come osservato dal Consiglio di Stato, se in caso di demo-ricostruzione il proprietario può sfruttare il volume dell’edificio demolito, nell’ipotesi di nuova costruzione ha la possibilità di utilizzare solo la volumetria espressa dall’area di edificazione. Inoltre, la ricostruzione è consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti ai sensi dell’art. 2-bis TUE e i nuovi edifici devono rispettare le distanze legali prescritte dall’art. 9 del D.M. n. 1444/1968.
I confini della “ristrutturazione edilizia” tra continuità e neutralità dell’intervento
Dopo aver descritto l’evoluzione normativa che ha interessato la categoria della “ristrutturazione edilizia” e averne delimitato il campo di applicazione, il Giudice amministrativo si è concentrato sul requisito della fedele “continuità” tra l’edificio preesistente e quello ricostruito, osservando come tale requisito non trovi più fondamento nell’art. 3, comma 1, lett. d), TUE, che, a seguito delle modifiche intervenute con il Decreto Semplificazioni 2020, ricomprende ormai anche gli interventi volti a mutare sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, purché incidenti su immobili non sottoposti a vincoli, sicché la demolizione e ricostruzione può portare ad un nuovo fabbricato “anche con caratteristiche molto differenti rispetto al preesistente”.
Tuttavia, secondo un’interpretazione più conforme al tenore letterale della norma – prosegue il Collegio – non si può nemmeno ritenere “che dalla demolizione derivi – di per sé sola e in assenza di specifiche previsioni di legge o degli strumenti urbanistici – una sorta di “credito volumetrico” che il proprietario può spendere rimanendo comunque nell’alveo della “ristrutturazione”, dovendo quest’ultima rispettare una serie di limiti e condizioni, che si ricavano dall’art. 3, comma 1, lettera d), del t.u. dell’edilizia e ai quali deve essere ricondotta ogni pretesa di “continuità””.
Infatti, come osservato nella pronuncia in commento, l’intervento deve innanzitutto avere ad oggetto un unico edificio, esorbitando dall’ambito della ristrutturazione ricostruttiva l’accorpamento di volumi precedentemente espressi da manufatti diversi o il frazionamento di un volume originario in più edifici di nuova realizzazione. Tale intervento presuppone inoltre una “contestualità temporale tra la demolizione e la ricostruzione, dando luogo ad una “unitarietà” dell’intervento prospettato con la Scia, nel senso, dunque, che entrambe debbono essere legittimate dal medesimo titolo”.
Più nello specifico – si legge nella pronuncia in commento – “nelle varie evoluzioni della nozione di “ristrutturazione ricostruttiva” che si sono susseguite, è rinvenibile un minimo comune denominatore, consistente nel fatto che l’intervento deve comunque risultare “neutro” sotto il profilo dell’impatto sul territorio nella sua dimensione fisica”, condizione ritenuta valida ancora oggi alla luce del fatto che, pur essendo stata eliminato il requisito della fedele continuità tra le caratteristiche strutturali dell’immobile preesistente e quelle del fabbricato di nuova realizzazione, ciononostante, la finalità sottesa al concetto di ristrutturazione è in ogni caso conservativa e di recupero edilizio.
Alla luce di tali considerazioni, il Consiglio di Stato ha qualificato l’intervento di demolizione e ricostruzione sottoposto al suo esame quale “nuova costruzione”, rispetto al quale si rende necessario il previo ottenimento di un P.d.c. non sostituibile neanche dalla SCIA alternativa, precisando altresì che “nella “demoricostruzione” non può pretendersi una “continuità” tra il nuovo edificio e quello precedente se non nella misura in cui per essa s’intenda il doveroso rispetto dei requisiti, sopra indicati, dell’unicità dell’immobile interessato dall’intervento, della contestualità tra demolizione e ricostruzione, del mero utilizzo della volumetria preesistente senza ulteriori trasformazioni della morfologia del territorio”.
Nella fattispecie, il Giudice amministrativo ha ritenuto che tali limiti – il cui superamento vale di per sé ad attribuire la qualificazione di “nuova costruzione” – non fossero stati in concreto osservati nell’esecuzione dell’intervento edilizio.
Considerazioni conclusive
La pronuncia in commento risulta rilevante almeno per due ragioni: da un lato, delimita i confini della nozione di “ristrutturazione edilizia”, fornendo indicazioni univoche sulla tipologia di interventi rientranti in tale categoria e sul relativo titolo abilitativo, nel tentativo di fare chiarezza in un contesto normativo frastagliato e sul quale incidono tanto il legislatore nazionale quanto quello regionale; dall’altro, afferma il principio di neutralità in luogo di quello della continuità tra le caratteristiche strutturali del fabbricato preesistente e quello di nuova realizzazione nelle ipotesi di “demo-ricostruzione”, andando incontro all’esigenza, avvertita da amministrazioni locali e operatori economici, di favorire interventi di rigenerazione urbana.
