Agrivoltaico e aree idonee: il T.A.R. Lazio solleva la questione di costituzionalità
Agrivoltaico e aree idonee: il T.A.R. Lazio solleva la questione di costituzionalità
A cura di Avv. Daniele Bracci, Avv. Vincenzina Dima e Dott. Andrea Campiotti
Il T.A.R. Lazio sottopone al giudizio della Consulta le disposizioni di legge che introducono limitazioni alla possibilità di realizzare impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra sulla generalità dei terreni classificati come agricoli dai piani urbanistici. La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata nell’ambito di un giudizio promosso da alcune società energetiche avverso il D.M. 21 giugno 2024 recante “Disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili”, adottato in attuazione dell’art. 20 del D.lgs. n. 199/2021.
INDICE
- La questione rimessa alla Corte costituzionale
- Il principio di massima diffusione delle energie rinnovabili prevale nel bilanciamento degli interessi
- L’individuazione delle aree idonee tra obblighi unionali ed esigenze di tutela del territorio
- Considerazioni conclusive
La questione rimessa alla Corte costituzionale
Con la recente sentenza del T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 11 agosto 2025, n. 15502, sono state ritenute “rilevanti e non manifestamente infondate” le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento all’art. 20, co. 1-bis, D.lgs. n. 199/2021, alla luce delle modifiche intervenute con l’art. 5, co. 1, D.l. n. 63/2024, per violazione degli artt. 3 e 117
, co. 1, Cost., “anche in relazione ai principi espressi dalla direttiva (UE) 2018/2001 e dal regolamento (UE) 2018/1999, come modificati dalla direttiva (UE) 2023/2413, nonché dal regolamento (UE) 2021/1119”.
In particolare, il Giudice amministrativo ha sottoposto all’esame della Corte costituzionale detta disposizione la quale, in quanto idonea a limitare eccessivamente la possibilità di realizzare impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra (c.d. impianti agrivoltaici), ne precluderebbe, di fatto, l’installazione su gran parte del territorio classificato come “agricolo” dai vigenti piani urbanistici, ad eccezione degli interventi di rifacimento, modifica o ricostruzione di impianti già esistenti (a condizione che non comportino consumo ulteriore di suolo) oppure finalizzati alla costituzione di una comunità energetica ovvero di progetti funzionali al conseguimento di obiettivi previsti dal PNRR.
Il principio di massima diffusione delle energie rinnovabili prevale nel bilanciamento degli interessi
Il T.A.R. ha anzitutto riconosciuto il contrasto, censurato dalle società energetiche promotrici del ricorso, tra l’art. 20, co. 1-bis, D.lgs. n. 199/2021 e il rispetto “dei vincoli derivanti dall’ordinamento europeo”, sancito dall’art. 117, co. 1, Cost., con particolare riferimento al principio eurounitario di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, ripercorrendo in modo ampio e approfondito l’evoluzione della normativa e il carattere “multilivello” (europeo, nazionale e regionale) che lo caratterizzano.
Nella pronuncia in commento il T.A.R. ha richiamato l’orientamento della Corte costituzionale secondo cui il richiamato principio eurounitario “trova attuazione nella generale utilizzabilità di tutti i terreni per l’inserimento di tali impianti [agrivoltaici, n.d.a.], con le eccezioni ispirate alla tutela di altri interessi costituzionalmente protetti (cfr., in particolare, Corte cost., sentenza n. 13/2014)”, rilevando come l’originaria formulazione della norma rispetto all’individuazione delle c.d. aree idonee e non idonee all’installazione degli impianti FER non prevedesse alcun divieto generalizzato rispetto ai terreni agricoli.
Infatti, l’art. 20, comma 3, del D.lgs. n. 199/2021, nella formulazione vigente (non interessata dalle modifiche di cui al D.l. n. 63/2024), prescrive di “tener conto” delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualità dell’aria e dei corpi idrici, privilegiando l’utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, nonché di aree a destinazione industriale, artigianale, per servizi e logistica e “verificando l’idoneità di aree non utilizzabili per altri scopi, ivi incluse le superfici agricole non utilizzabili”.
Sicché, come osservato dal Collegio rimettente, tale disposizione non solo non porrebbe alcuna preclusione assoluta all’installazione di impianti FER su superfici agricole ma, anzi, includerebbe tali superfici (ancorché inutilizzabili) tra quelle da privilegiare per la realizzazione di detti impianti.
L’individuazione delle aree idonee tra obblighi unionali ed esigenze di tutela del territorio
Il T.A.R. ha inoltre evidenziato che il co. 1-bis, sospettato di incostituzionalità, sebbene faccia salvi i progetti attuativi di misure previste nell’ambito del PNRR, sarebbe comunque in contrasto con la normativa eurounitaria e, in particolare, con il raggiungimento dei targets previsti dal PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima), strumento attraverso il quale ciascuno Stato membro si è impegnato a delineare la propria politica in materia di energia e clima, assicurando una quota di energia rinnovabile nel proprio mix energetico pari ad almeno il 42,5% entro il 2030.
Infatti, si legge nella pronuncia in commento, tali progetti “non comprendono né esauriscono tutti quelli necessari al raggiungimento dei target previsti dal PNIEC”, sicché la disposizione censurata rischierebbe, in ogni caso, “di mettere seriamente in pericolo il conseguimento degli obiettivi energetici unionali”.
Il limite imposto dalla disposizione in esame risulterebbe poi del tutto incerto stante l’eccessiva flessibilità riconosciuta dal D.M. 21 giugno 2024 alle Regioni per l’individuazione delle aree non idonee per l’installazione di impianti FER, il che rischia di pregiudicare il conseguimento degli obiettivi energetici assunti a livello nazionale in attuazione del diritto unionale.
E ancora, visto il potere spettante alla Commissione europea di prevedere misure supplementari nei confronti degli Stati membri inadempienti rispetto a detti obiettivi (ai sensi dell’art. 32, par. 3, Regolamento (UE) 2018/1999 sulla governance dell’Unione dell’energia – tra le quali anche la contribuzione al “meccanismo unionale di finanziamento dell’energia rinnovabile” istituito dal Regolamento (UE) 2020/1294 per promuovere progetti in materia di FER – la sottrazione di una parte considerevole del territorio all’installazione degli impianti potrebbe tradursi in un impatto “non trascurabile” anche sulle finanze pubbliche.
Il divieto introdotto ex lege, a detta del T.A.R. rimettente, si porrebbe poi in contrasto anche con il principio di integrazione sancito dall’art. 11 TFUE nonché dall’art. 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (c.d. Carta di Nizza), avente anch’essa rango di fonte primaria (parimenti ai trattati), che impone agli Stati membri di garantire l’integrazione delle esigenze di tutela dell’ambiente nella definizione e attuazione delle politiche e azioni dell’Unione e che oggi informa la politica integrata in materia di energia e clima.
La tesi prospettata dal T.A.R. sarebbe altresì rafforzata dal fatto che l’esigenza di conservazione dei terreni classificati come agricoli, imposta a priori e ritenuta prevalente dalla norma, si configurerebbe come “del tutto sganciata da una valutazione in concreto della effettiva utilizzabilità di tali aree a fini agricoli”.
Sicché la disposizione censurata sarebbe caratterizzata da irragionevolezza e non proporzionalità in spregio dell’art. 3 Cost., atteso che la finalità di contrastare il consumo di suolo agricolo, assunta dal Legislatore alla base del D.l. n. 63/2024, non sarebbe riscontrabile con riferimento alle superfici agricole ma inutilizzabili o degradate.
Inoltre, a detta del T.A.R., mancherebbe nell’impianto della norma qualsiasi considerazione in ordine alla qualità e all’importanza delle colture praticate sui terreni esclusi dall’installazione degli impianti agrivoltaici o al loro pregio rispetto al contesto paesaggistico e che invece dovrebbe ricoprire un peso nella valutazione sull’idoneità/inidoneità dell’area.
L’esclusione indiscriminata operata dalla norma si porrebbe infine in contrasto anche con la recente Raccomandazione (UE) 2024//1343 della Commissione europea sull’accelerazione delle procedure autorizzative per l’energia da fonti rinnovabili e i progetti infrastrutturali correlati nella parte in cui indica agli Stati membri di contenere nel “minimo necessario” le zone di esclusione in cui non può svilupparsi l’energia rinnovabile, limitando la possibilità di applicare restrizioni in modo tale da massimizzare la disponibilità di spazio per l’installazione di impianti FER.
Considerazioni conclusive
La pronuncia in commento si inserisce in un filone giurisprudenziale tuttora aperto nell’ambito del quale il Giudice amministrativo ha, in più occasioni, sollevato questioni di costituzionalità rilevando plurimi profili di contrasto tra i recenti interventi normativi in materia energetica, tra i quali, in primis, il D.M. 21 giugno 2024 sulle c.d. aree idonee e il successivo D.l. n. 63/2024 che ha introdotto limiti ritenuti eccessivamente severi all’installazione di impianti FER su terreni agricoli.
Le norme recentemente introdotte, secondo i T.A.R. intervenuti in materia, si pongono in aperto contrasto con il diritto europeo – in particolare, con i principi dell’interesse pubblico prevalente alla produzione di energia da fonti rinnovabili e di massima diffusione degli impianti sul territorio degli Stati membri – e di riflesso, rischiano di pregiudicare il conseguimento gli obiettivi di politica energetica assunti a livello nazionale. Tale situazione rischia poi di scoraggiare l’iniziativa economica degli operatori di settore i quali si trovano a programmare i propri investimenti in un contesto normativo e giurisprudenziale incerto e in rapida evoluzione.
