Codice Appalti: nuove censure UE, il “correttivo” non risolve la procedura di infrazione contro l’Italia

Codice Appalti: nuove censure UE, il “correttivo” non risolve la procedura di infrazione contro l’Italia

A cura degli Avv. Stefano de Marinis e Avv. Sara Lepidi

 

Permangono i rilievi critici per quanto riguarda l’accesso agli atti ed il diritto di prelazione nella procedura di finanza di progetto.

Lo scorso 8 ottobre, la Commissione europea ha formulato una terza lettera complementare di costituzione in mora – procedura INFR(2018)2273 – a carico dell’Italia: l’infrazione riguarda il mancato corretto recepimento delle direttive UE 2014/23/UE (concessioni), 2014/24/UE (appalti pubblici ordinari) e 2014/25/UE (settori speciali) considerate sui punti in discussione equivalenti.

In particolare, il permanere di rilievi critici sul Codice appalti, riguarda due importanti istituti: l’accesso agli atti ed il diritto di prelazione nella procedura di finanza di progetto; la relativa disciplina – secondo Bruxelles – non rispetterebbe ancora i principi europei di trasparenza, parità di trattamento, concorrenza e proporzionalità.

INDICE 

La lettera di costituzione in mora

Con una nota dell’8 ottobre 2025, firmata dal direttore generale della Dg Grow (Direzione generale del Mercato interno, dell’industria, dell’imprenditoria e delle PMI) ed indirizzata al Ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale Antonio Tajani, la Commissione europea ha dunque deciso di riaprire formalmente la procedura d’infrazione n. 2018/2273.

Il procedimento, avviato nel 2018 e sospeso dopo l’adozione del decreto correttivo al Codice Appalti del dicembre 2024, viene riattivato poiché alcuni rilievi dell’UE risultano ancora irrisolti.

Le criticità riguardano, come detto, due ordini di disposizioni del d.lgs. 36/2023, segnatamente quelle sull’accesso agli atti e la riservatezza oltre alle procedure di finanza di progetto che, anche dopo le modifiche apportate dal cosiddetto decreto Correttivo, non risultano conformi al diritto europeo in materia di appalti pubblici.

Il Governo italiano dispone ora di meno di due mesi per replicare e proporre eventuali correzioni: in assenza di risposte soddisfacenti, la Commissione potrà adottare un parere motivato e deferire il caso alla Corte di giustizia, aprendo una nuova fase del contenzioso europeo sugli appalti.

 

Accesso agli atti e tutela della riservatezza

L’articolo 35 del d.lgs. 36/2023, ai commi 4 e 5, consente di limitare l’accesso ai documenti contenenti segreti tecnici o commerciali, ma stabilisce anche che tale accesso debba essere garantito se necessario per la tutela dei diritti in sede giudiziaria.

La Commissione contesta questa impostazione, giudicandola in contrasto con gli articoli 21, 50 e 55 della direttiva 2014/24/UE.

In sintesi, evocando sulla questione l’ordinanza 25 giugno 2025 nella causa C-686/24 la  Commissione esprime l’avviso che la legislazione nazionale non possa imporre una scelta generale circa la prevalenza dell’esigenza di effettività della tutela giurisdizionale sul diritto alla tutela delle informazioni riservate. Il bilanciamento tra le esigenze coinvolte deve essere operato caso per caso dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore sulla base delle circostanze concrete

Il modello italiano, invece, privilegia un accesso “difensivo”, che riduce il margine delle amministrazioni nel negare la divulgazione di informazioni riservate anche in casi in cui la direttiva europea ne prevede la tutela.

 

Finanza di progetto: discrezionalità e mancanza di trasparenza

Muovendo dalla considerazione secondo la quale pur non essendo espressamente regolata dal diritto UE, la finanza di progetto rientra nell’ambito della direttiva 2014/23/UE quando riguarda concessioni di lavori o servizi, i servizi della Commissione censurano la procedura di cui all’articolo 193 del codice sotto quattro distinti aspetti:

  1. relativamente alla scelta del progetto da mettere in gara, i commi 1 – 6, 16 e 17 non presterebbero adeguate garanzie a presidio del rispetto dei principi di trasparenza, parità di trattamento e non-discriminazione, lasciando invece spazi troppo ampi alla discrezionalità dell’amministrazione; ciò in contrasto con gli articoli 3, 30, 37 e 41 della direttiva 2014/23/UE, gli articoli 18, 56 e 67 della direttiva 2014/24/UE e gli articoli 36, 76, 82 della direttiva 2014/25/UE
  2. nella misura in cui, nella fase preliminare dove si assegna il diritto di prelazione non è prevista la pubblicazione di un bando conforme ai modelli dell’Unione europea, la formulazione dei commi 4 e 16, viola gli articoli 31 e 33, paragrafo 2, della direttiva 2014/23/UE, gli articoli 49 e 51 della direttiva 2014/24/UE e gli articoli 69 e 71 della direttiva 2014/25/UE
  3. nella misura in cui i commi 9 e 12, stabiliscono l’obbligo per l’ente concedente di prevedere nel bando di gara un diritto di prelazione a favore del promotore /proponente, tali disposizioni violano i principi di parità di trattamento e non discriminazione sanciti dagli articoli 3 e 30 della direttiva 2014/23/UE.
  4. nella misura in cui non è imposto l’obbligo di fissare criteri di aggiudicazione conformi all’articolo 41 della direttiva 2014/23/UE, non è possibile assicurare il rispetto dei principi di trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione sanciti dagli articoli 3 e 30 della stessa direttiva e non può dunque costituire un adeguato recepimento di tali articoli.

 

In sintesi, secondo la Commissione, la procedura di finanza di progetto nel suo complesso, e come delineata nel codice sembra costituire un potente strumento di elusione dell’intero quadro normativo dell’UE in materia di aggiudicazione di contratti pubblici e la sua disciplina non fornisce adeguati strumenti per limitare i significativi rischi di abuso. Tale procedura, si legge nella nota, priva completamente la legislazione dell’UE in materia di appalti pubblici nel settore delle concessioni del suo effetto utile. Pertanto, nel delineare una procedura di aggiudicazione connotata da amplissima discrezionalità amministrativa, discriminatoria e non in linea con il diritto dell’UE applicabile in nome di un maggiore coinvolgimento di operatori e investimenti privati nella progettazione, nella gestione e nell’esecuzione di opere pubbliche, il legislatore italiano opera una chiara scelta normativa difforme da quella imposta dalla normativa europea. Il quadro normativo che ne risulta, concludono i servizi della Commissione, non è idoneo a perseguire tali obiettivi, eccede quanto strettamente necessario per il loro raggiungimento e viola il principio di proporzionalità sancito dalle direttive applicabili

Due mesi di tempo per sanare le criticità

A questo punto il Governo ha a disposizione circa due mesi per sanare le rinvenute criticità normative.

In assenza di una risposta che dimostri l’avvenuto allineamento normativo, la procedura di infrazione proseguirà attraverso i seguenti passi:

  1. parere motivato: la Commissione può decidere di emettere un “parere motivato”, un documento formale che ribadisce le violazioni contestate e concede all’Italia un ulteriore termine (solitamente due mesi) per conformarsi al diritto UE;
  2. deferimento alla Corte di Giustizia (CGUE): se il parere motivato resta inascoltato, la Commissione deferisce l’Italia alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE). In caso di condanna da parte della CGUE e di persistente mancato adeguamento, la conseguenza più grave è l’imposizione di sanzioni pecuniarie (somme forfettarie e/o penalità di mora) a carico dello Stato italiano.

Ma, oltre alle sanzioni, la non conformità espone l’Italia anche a un rischio significativo di contenzioso nazionale. Gli operatori economici, che ritengono di aver subito un danno a causa di norme nazionali in contrasto con il diritto UE, potrebbero fare ricorso ai tribunali interni, che sono tenuti a disapplicare la norma nazionale a favore di quella europea.

 

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