Parità di genere e avvalimento premiale: Consiglio di Stato, sez. VI, n. 5345 del 18 giugno 2025

Parità di genere e avvalimento premiale: Consiglio di Stato, sez. VI, n. 5345 del 18 giugno 2025

A cura di Avv. Chiara Scardaci, Avv. Vincenzina Dima

Abstract 

Con la sentenza n. 5345 del 18 giugno 2025, la VI sezione del Consiglio di Stato ha ammesso la possibilità di fare ricorso all’avvalimento premiale della certificazione della parità di genere, assimilandola ad una certificazione di qualità dei processi aziendali e valorizzando la finalità prococorrenziale dell’istituto. 

 

Indice

parità di genere e avvalimento premiale

La questione controversa e la decisione di primo grado

La controversia decisa dal Consiglio di Stato in riforma della sentenza del TRGA Bolzano n. 54/2025, riguarda la procedura aperta per la fornitura del servizio sostitutivo di mensa tramite buoni pasto per i dipendenti del Comune capoluogo dell’Alto Adige. 

La gara prevedeva diversi punteggi tabellari, tra cui erano compresi anche due punti per il possesso della certificazione sulla parità di genere

All’esito dell’esame delle offerte, la stazione appaltante attribuiva i suddetti due punti all’operatore economico collocatosi al primo posto della graduatoria, il quale faceva valere la certificazione messa a sua disposizione da un’altra impresa tramite avvalimento premiale.

L’aggiudicazione veniva impugnata dalla seconda graduata che contestava la possibilità di ricorso a tale istituto per sopperire alla carenza della certificazione in questione. 

Il giudice delle prime cure accoglieva il ricorso ed annullava gli atti impugnati.

Secondo il TRGA, infatti, la certificazione di parità di genere attiene ad una condizione soggettiva intrinseca dell’azienda che non può costituire oggetto di un contratto di avvalimento, perché non assimilabile ad una risorsa da mettere a disposizione di terzi che poi la potrebbero impiegare nell’esecuzione di un lavoro o di un servizio”.

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Il Consiglio di Stato ammette l’avvalimento premiale della certificazione sulla parità di genere

Avverso la pronuncia del TRGA Bolzano è insorta l’impresa aggiudicataria. 

Ad avviso dell’appellante, la ricostruzione del giudice di primo grado sarebbe errata in quanto la certificazione sulla parità di genere non sarebbe altro che una certificazione che attesta la qualità di un processo aziendale, nello specifico sulla parità di genere delle risorse umane, con la conseguenza che i processi e le politiche messe in campo da una azienda per raggiungere la parità di genere sarebbero trasferibili ad un’altra azienda tramite contratto di avvalimento, esattamente come accade con qualsiasi altra certificazione di qualità.

Accogliendo le conclusioni dell’appellante sul punto, il Consiglio di Stato ha ritenuto che il ricorso all’avvalimento premiale in relazione alla certificazione della parità di genere deve ritenersi ammissibile alla luce del diritto interno ed eurounitario. 

Richiamando altre pronunce della giurisprudenza di primo grado, i giudici di Palazzo Spada hanno evidenziato l’“autonoma funzione pro-concorrenziale” dell’avvalimento premiale che, analogamente ad altri istituti (R.T.I., consorzi), consiste nella possibilità di accrescere la qualità tecnica dell’offerta tecnica dell’operatore economico concorrente.

Nella ricostruzione del Consiglio di Stato, “costituendo l’avvalimento anche nella sua versione “premiale”, istituto servente alla realizzazione del fondamentale principio di matrice eurounitaria della concorrenza …, i giudici nazionali sono tenuti a prediligere, in sede interpretativa le soluzioni ermeneutiche che ne consentano l’operatività o che, comunque, ne assicurino il più vasto campo di applicazione.”.

Il Consiglio di Stato ricorda inoltre che il ricorso all’avvalimento premiale è espressamente ammesso dalla giurisprudenza in relazione alle certificazioni di qualità, alle quali la certificazione sulla parità di genere è sostanzialmente riconducibile, attestando l’adozione di un sistema aziendale di gestione in grado di assicurare inclusione ed equità di genere, conforme ad una specifica prassi (la UNI/PdR 125:2022).

Il Consiglio di Stato invoca poi una considerazione di tipo letterale, osservando come l’art. 108, comma 7, ultimo periodo, del nuovo codice dei contratti pubblici imponga la previsione di un criterio premiale legato al possesso di tale certificazione “senza, tuttavia, prescriverne il necessario possesso diretto” in capo al concorrente, con la conseguente implicita ammissibilità del ricorso all’avvalimento premiale.

Le indicazioni del Consiglio di Stato sui contenuti del contratto di avvalimento

Tanto considerato, il Consiglio di Stato si concentra sui contenuti del contratto di avvalimento premiale prodotto dell’aggiudicataria, rilevandone la nullità per violazione del combinato disposto degli artt. 1325, 1346 e 1418 c.c., ed al contempo la violazione di cui all’art. 104, comma 1, d.lgs. n. 36 del 2023, a causa dell’estrema genericità ed indeterminatezza dell’oggetto e dell’utilizzo di mere clausole di stile senza indicazione delle risorse e dei mezzi in concreto prestati.

L’art. 104 del nuovo codice dei contratti pubblici, ricorda infatti il Consiglio di Stato, prescrive l’indicazione specifica delle risorse messe a disposizione dell’operatore economico con riguardo ad ogni tipologia di avvalimento, a pena di nullità. 

Al riguardo non può obiettarsi che la peculiarità dell’avvalimento di una certificazione di qualità consisterebbe nella messa a disposizione da parte dell’impressa ausiliaria di tutta la propria organizzazione aziendale che ha concorso a determinare l’acquisizione della certificazione stessa. Proprio le caratteristiche e la stessa nozione legale di certificato di parità di genere, che fa esplicito riferimento all’adozione di politiche e misure “concrete”, infatti, sono tali da ricondurla nella categoria dell’avvalimento cd. “operativo” e non “di garanzia” non riguardando il prestito requisiti di tipo economico-finanziari. 

Di conseguenza, la peculiare natura dell’avvalimento premiale qui in esame richiede un vaglio attento del requisito della specificità, per evitare avvalimenti meramente cartolari in grado di alterare più che di promuovere la concorrenza, e per garantire il perseguimento degli obiettivi di inclusione ed equità di genere nelle commesse pubbliche

La certificazione in parola, in sintesi, deve essere letta in armonia con la nuova concezione dell’evidenza pubblica quale strumento di tutela di interessi ulteriori e diversi rispetto a quelli ad essa tradizionalmente connaturati, come l’ambiente, la tutela delle piccole e medie imprese o l’uguaglianza di genere, che rientrano nel “fuoco allargato del “risultato”, stella polare del nuovo Codice, non a caso espressamente perseguito “nell’interesse della comunità” (comma 3 dell’art. 1)”, al quale anche la certificazione per la parità di genere resta comunque funzionalmente legata.

La stipula di un contratto di avvalimento “premiale” relativo alla certificazione di genere non può quindi risolversi in un’operazione meramente formale, dovendo assumere connotati di realtà e concretezza, individuando le risorse umane e materiali, i protocolli organizzativi ed i piani aziendali, espressione del know how specifico attestato dalla certificazione. 

 

Leggi il nostro articolo su : Certificazioni di qualità come requisiti di accesso alle gare pubbliche: orientamenti interpretativi e la delibera n. 203/2025 dell’ANAC

Considerazioni specifiche sulla parità di genere

Fermo quanto sopra precisato in termini generali, se la pronuncia del Consiglio di Stato appare senz’altro in linea con quanto stabilito dal codice degli appalti, e con il rispetto dell’istituto dell’avvalimento in merito alle finalità che lo accompagnano sin dalla sua nascita in sede comunitaria, non sembra invece aver colto il profondo significato sociale della certificazione sulla parità di genere e lo scopo sotteso alla stessa, volto a favorire la parità tra uomo e donna in ambito lavorativo, con ripercussioni sugli aspetti familiari ed economici della società in cui viviamo.

Si rammenti che la certificazione della parità di genere è stata introdotta nell’ordinamento italiano con la Legge 5 novembre 2021, n. 162 (nota anche come Legge Gribaudo), che ha modificato il d.lgs. n. 198/2006 (Codice delle pari opportunità). In particolare, è stato inserito l’articolo 46-bis, “Certificazione della parità di genere”, che consente alle imprese a partire dal 1° gennaio 2022, di dotarsi di una certificazione propria e personalizzata, finalizzata a valorizzare le misure concretamente adottate al proprio interno per ridurre il divario di genere.

L’attivazione di un sistema nazionale di certificazione, inserito tra gli obiettivi della Missione 5 del PNRR, mira a promuovere una partecipazione più equa delle donne al mondo del lavoro e incentivare pratiche orientate alla sostenibilità sociale. Lo Stato, in quest’ottica, ha previsto risorse dedicate e ha fissato, tra i risultati attesi, il raggiungimento di un numero significativo di aziende certificate entro giugno 2026.

Il DPCM del 29 aprile 2022, emanato dal Dipartimento per le Pari Opportunità, ha definito i criteri per l’ottenimento della certificazione i cui requisiti minimi sono stabiliti nella prassi UNI/PdR 125:2022, la quale a sua volta, non definisce standard rigidi uguali per tutte le organizzazioni, ma propone un framework di riferimento flessibile e adattabile alla natura e alla dimensione di ciascuna realtà. Attraverso una serie di indicatori di performance (KPI), ogni impresa è chiamata a misurare e documentare il proprio livello “as is”, per poi valutare i miglioramenti nel tempo, con un monitoraggio annuale e una verifica biennale.

In sintesi, la certificazione della parità di genere è un percorso “taylormade”, che riflette il modo in cui ogni impresa interpreta e realizza la propria responsabilità sociale. 

Il percorso sul quale si muovono le organizzazioni che vogliono certificarsi in materia di PdR costituisce, quindi, un cammino personale, non replicabile e che tipicizza, aggiungendo connotazioni nuove, legate ai concetti di sostenibilità sociale recati dall’obiettivo 5 dell’Agenda 2030, la realtà certificata in maniera peculiare, lasciando poco spazio alla possibilità che il risultato della certificazione raggiunto e il complesso delle caratteristiche aziendali che lo sottendono, possa essere prestato ai fini di una concorrenzialità che forse, a guardar bene, non viene nemmeno favorita.

Se, infatti, il procedimento finalizzato alla aggiudicazione del contratto pubblico vuole caratterizzarsi per valorizzare e premiare le organizzazioni impegnate nelle tematiche della social responsibility, allora la verifica di tale impegno non può che essere calata sul singolo concorrente.

In linea con le considerazioni svolte, la stessa Sezione VI del Consiglio di Stato in una sentenza di pochi mesi prima (n. 3117 dell’11 aprile 2025), aveva chiarito i limiti entro i quali l’avvalimento premiale poteva applicarsi ai soggetti che decidono di partecipare attraverso uno degli strumenti di partecipazione congiunta alle gare pubbliche di selezione del contraente previsto dal codice degli appalti. In quel frangente il Consiglio di Stato aveva richiamato la lex specialis esaminata, la quale a sua volta, stabiliva, che tutte le imprese partecipanti in raggruppamento fossero onerate a presentare autonomamente la certificazione in materia di parità di genere, escludendo la possibilità di ricorrere all’avvalimento migliorativo per l’ottenimento del relativo punteggio premiale.

Il Consiglio di Stato aveva pertanto respinto l’appello proposto, sposando di fatto le motivazioni del TRGA di Bolzano (4 novembre 2024, n. 257) il quale aveva ritenuto che la “certificazione di parità di genere attiene ad una condizione soggettiva intrinseca dell’azienda che non può costituire oggetto di un contratto di avvalimento, perché non assimilabile ad una risorsa da mettere a disposizioni di terzi che poi la potrebbero impiegare nell’esecuzione di un lavoro o di un servizio. Pare evidente che le “politiche e misure concrete adottate dai datori di lavoro” al fine di ridurre il divario di genere nella propria specifica realtà aziendale, non potranno essere trasferite ad una altra realtà aziendale, la quale verosimilmente potrebbe avere minori o anche maggiori divari in settori e aree anche del tutto diversi.”

 

Conclusioni

In conclusione, il Consiglio di Stato ammette l’avvalimento premiale della parità di genere a patto che le condizioni stabilite dal codice degli appalti, per i requisiti del contratto di avvalimento, siano state rispettate nell’accordo tra le parti, ovvero tra ausiliata e ausiliaria. Solo rispettando le caratteristiche tipiche dell’istituto dell’avvalimento premiale, infatti, sarà possibile evitare il pericolo di un ausilio meramente cartolare, dovendo invece tale istituto, consentire l’effettiva e reale disponibilità, a favore dell’ausiliata, di tutta l’organizzazione aziendale dell’impresa ausiliaria, caratterizzatasi per possedere quei requisiti necessari ad ottenere la Certificazione per la Parità di Genere. 

Condivisibili anche le considerazioni relative allo scopo dell’avvalimento, strumento nascente nel contesto europeo, finalizzato a garantire un alto livello di concorrenzialità tra i competitor partecipanti ai procedimenti di selezione del contraente pubblico.

Tuttavia, non vi è traccia, nel ragionamento del Supremo Organo di Giustizia Amministrativa, del percorso impegnativo e unico che le organizzazioni intraprendono per raggiungere la certificazione sulla parità di genere che, in via meramente indicativa , coinvolge le realtà imprenditoriali e pubbliche nel loro contesto in senso generale e capillare, chiamandole non solo all’adozione di politiche e procedure specifiche ma anche al consolidamento delle stesse attraverso l’adozione di un Piano Strategico composto da obiettivi specifici da raggiungere, monitorare, aggiornare e migliorare nel corso del tempo. 

La certificazione in materia di parità di genere rappresenta l’esito di un percorso specifico e identitario, costruito sull’organizzazione, i processi, i rischi, gli obiettivi e le politiche di ciascuna impresa. Essa restituisce una fotografia delle azioni effettive messe in atto in termini di gender equality, con un riconoscimento che è irripetibile e non trasferibile, perché strettamente legato al contesto e alla cultura aziendale di riferimento.

Contemperare le esigenze della concorrenzialità con le nuove frontiere della gender equality, istituzionalizzate nei diversi provvedimenti normativi intervenuti, non ultimo lo stesso codice degli appalti che prevede la premialità delle certificazioni non solo all’art. 108 comma 7 del D. Lgs. n. 36/2023 ma anche all’ Allegato II.13, in relazione alla riduzione delle garanzie, è senz’altro una sfida particolarmente gravosa connotata da tematiche economiche, etiche, e giuridiche che coinvolgono tutti gli attori del mondo delle opere pubbliche: dai competitor invitati a mettersi in gioco per rinnovare le proprie organizzazioni nell’accogliere le best practice della gender equality strutturate in sistemi certificati, alle amministrazioni appaltanti chiamate ad utilizzare criteri premiali pionieristici, agli organi giudiziari a cui spetta il delicato ruolo di condurre il cambiamento attraverso la corretta interpretazione delle norme, delle lex spcialis di gara e degli standard internazionali, ai cultori del diritto della contrattualistica pubblica ed agli avvocati che da sempre se ne occupano, con un nuovo sguardo ad una compliance sempre più variegata e complessa.

Cionondimeno, è proprio attraverso tali sfide che si può giungere ad una visione differente dei meccanismi premianti che, forse, in un prossimo futuro potranno assumere un valore senz’altro più efficace se strumentali ad una valutazione delle capacità etiche e sociali delle organizzazioni partecipanti, in un contesto normativo che potrebbe essere rinnovato anche per le modalità di aggiudicazione.

Valutazione che, si aggiunga, è oggi recata anche dai pillar della sostenibilità (ESG) che la vorrebbero, nell’appalto pubblico, non più limitata alle tematiche ambientali dovendo spaziare, invece, anche su questioni legate agli argomenti della responsabilità sociale.

 

COMPLIANCE E INNOVATION: EVOLUZIONE, QUADRO NORMATIVO E OPPORTUNITÀ COMPETITIVE PER IMPRESE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE A cura di Avv. Riccardo Piselli, Avv. Chiara Scardaci, Dott. Erik Klepp

 

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