In vigore la Direttiva “Stop-the-clock” (UE 2025/794): un rinvio strategico degli obblighi di sostenibilità d’impresa
In vigore la Direttiva “Stop-the-clock” (UE 2025/794): un rinvio strategico degli obblighi di sostenibilità d’impresa
A cura di Prof. Mauro Miccio, Dott. Alberto Boscarato
Indice
- Un primo intervento di modifica del Pacchetto Omnibus I
- Un’esigenza di equilibrio tra regolazione e operatività imprenditoriale
- Semplificazione normativa e contesto politico europeo
- Rinvio selettivo degli obblighi e prevenzione del contenzioso
- Ratio della Direttiva Stop-the-Clock
- Analisi Normativa della Direttiva “Stop-the-clock”: CSRD e CSDDD
- Nuove Scadenze per le Grandi Imprese e le PMI Quotate
- Dettaglio dei nuovi termini: recepimento, applicazione, rendicontazione
- Un’opportunità strategica di adeguamento progressivo agli obblighi europei in materia di sostenibilità
- Conclusioni
Un primo intervento di modifica del Pacchetto Omnibus I
La Direttiva (UE) 2025/794, nota come Direttiva “Stop-the-Clock”, si presenta come il primo intervento di modifica del Pacchetto Omnibus I, presentato dalla Commissione europea lo scorso 26 febbraio 2025.
Un’esigenza di equilibrio tra regolazione e operatività imprenditoriale
La direttiva, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 16 aprile 2025, e in vigore dal giorno successivo, risponde alla crescente esigenza, emersa sia a livello politico sia nella prassi applicativa, di bilanciare l’impegno regolatorio dell’Unione con l’effettiva capacità operativa del tessuto imprenditoriale europeo, in particolare negli ambiti della rendicontazione di sostenibilità e della due diligence societaria.
Semplificazione normativa e contesto politico europeo
Tale esigenza si ritrova per altro espressamente formalizzata nella Comunicazione della Commissione dell’11 febbraio 2025, intitolata “Un’Europa più semplice e più rapida,” nella quale si richiama la necessità di un’agenda operativa capace di garantire effetti immediati per cittadini e imprese attraverso un approccio di semplificazione strutturata. Inoltre, un ulteriore impulso normativo è derivato dalla Dichiarazione di Budapest dell’8 novembre 2024, nella quale il Consiglio europeo ha esplicitamente sollecitato una “rivoluzione della semplificazione”, anche alla luce delle raccomandazioni contenute nei rapporti di Enrico Letta (“Much more than a Market”) e Mario Draghi (“The future of European competitiveness”) sul futuro della competitività europea.
In questo contesto, la Direttiva “Stop-the-clock” si configura come un intervento tecnico ma strategico, volto a rinviare selettivamente l’applicazione di obblighi giuridici già formalizzati nell’ordinamento dell’Unione, senza metterne in discussione la validità o la direzione di fondo. L’intervento si propone quale strumento di tutela e salvaguardia dell’ecosistema imprenditoriale in una fase congiunturale complessa e caratterizzata da transizioni normative e tecnologiche non ancora pienamente metabolizzate a livello culturale, gestionale e fattivo.
Rinvio selettivo degli obblighi e prevenzione del contenzioso
Attraverso il rinvio, il legislatore europeo ha così circoscritto l’efficacia di alcune disposizioni contenute nella Direttiva (UE) 2022/2464 (Corporate Sustainability Reporting Directive, CSRD) e nella Direttiva (UE) 2024/1760 (Corporate Sustainability Due Diligence Directive, CSDDD), nella consapevolezza che l’introduzione contemporanea di obblighi eterogenei, derivanti dalla rendicontazione ESG, dalla due diligence sulle supply chains e dalla adozione di transition plans, avrebbero potuto generare incertezza giuridica, disparità nell’adempimento e un aumento del contenzioso regolatorio.
Ratio della Direttiva Stop-the-Clock: Proporzionalità Regolatoria e Differimento Temporale per una Migliore Implementazione
Dall’analisi delle finalità dell’intervento, la ratio della Direttiva “Stop-the-clock” appare radicarsi nell’esigenza primaria di proporzionalità regolatoria; ovvero nell’esigenza di garantire che l’azione normativa europea sia adeguata e necessaria rispetto agli obiettivi perseguiti. In questo senso risulta importante evitare che l’attuazione di obblighi di sostenibilità troppo stringenti, introdotti in tempi normativi ristretti, possa determinare un impatto sproporzionato sulle imprese soggette, compromettendo al contempo l’efficacia stessa delle politiche ambientali e sociali dell’Unione. Non si tratta, dunque, di una sospensione degli impegni in materia di rendicontazione e due diligence, quanto piuttosto di un differimento temporale finalizzato a garantire una migliore implementazione delle regole già adottate, il cui impatto operativo si è rivelato, tuttavia, eccessivamente gravoso per una parte significativa degli operatori economici. La funzione primaria della direttiva è, pertanto, quella di stabilizzare l’assetto normativo in materia di sostenibilità, consentendo alle imprese di disporre di un orizzonte temporale più coerente per l’adeguamento ai nuovi standard. L’Unione, nel testo della direttiva, riconosce espressamente la necessità di “fornire chiarezza giuridica ed evitare che le imprese debbano sostenere costi inutili ed evitabili” (considerando n. 3), rinviando l’attuazione “senza pregiudicare gli obiettivi strategici”, come ad esempio quelli stabiliti dal Green Deal.
Analisi Normativa della Direttiva “Stop-the-clock”: Modifiche puntuali alle Date di Attuazione di CSRD e CSDDD
Venendo ora ad una più puntuale analisi del dato normativo si evidenziano, quali nucleo operativo della Direttiva “Stop-the-clock”, le disposizioni di modifica puntuale delle date di attuazione dei due richiamati strumenti di diritto europeo, considerati centrali in materia di regolazione della sostenibilità d’impresa: la Direttiva (UE) 2022/2464 sulla rendicontazione di sostenibilità (CSRD) e la Direttiva (UE) 2024/1760 sulla due diligence (CSDDD).
Differimento di Due Anni per la CSRD: Nuove Scadenze per le Grandi Imprese e le PMI Quotate
In particolare, ai sensi dell’articolo 1, la Direttiva “Stop-the-clock” modifica l’articolo 5, paragrafo 2 della CSRD, differendo di due anni le date di applicazione previste per le grandi imprese che non sono enti di interesse pubblico, non rientravano nel campo di applicazione della precedente regolamentazione recata dalla Non-Financial Reporting Directive nota anche come NFRD , ossia la Direttiva UE 2014/95inserire i riferimenti, ma soddisfavano comunque i criteri dimensionali della CSRD (ossia superano almeno due delle soglie: 250 dipendenti, 40 milioni di euro di fatturato netto o 20 milioni di euro di bilancio totale). Le imprese come sopra identificate,, originariamente obbligate, secondo la citata CSRD, a pubblicare il report per gli esercizi aventi inizio il 1º gennaio 2025, saranno ora tenute a farlo, a causa del nuovo intervento normativo, dal 1º gennaio 2027.
Lo stesso differimento, coinvolge peraltro anche le piccole e medie imprese quotate, gli enti piccoli e non complessi, le imprese di assicurazione captive e le imprese di riassicurazione captive, che, secondo la CSRD, avrebbero dovuto rendicontare a partire dagli esercizi iniziati il 1º gennaio 2026. Anche per loro, l’obbligo è ora rinviato al 1º gennaio 2028. I rinvii illustrati trovano la loro espressa motivazione nei considerando (3) e (4) della Direttiva “Stop-the-clock”, i quali sottolineano l’esigenza di evitare oneri sproporzionati per le imprese nel breve periodo, permettendo allo stesso tempo alla Commissione e agli Stati membri di completare gli interventi normativi ancora in corso di elaborazione.
Doppio Rinvio per la CSDDD: Recepimento Nazionale e Applicazione degli Obblighi
Per quanto, invece, attiene alla Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), l’articolo 2 della Direttiva “Stop-the-clock” interviene modificando l’articolo 37, paragrafo 1, della Direttiva (UE) 2024/1760, introducendo un doppio rinvio: sia del termine per il recepimento nazionale delle disposizioni, sia delle scadenze per la loro applicazione concreta alle imprese.
Dettaglio dei nuovi termini: recepimento, applicazione, rendicontazione
Più precisamente:
- il termine per il recepimento da parte degli Stati membri è prorogato dal 26 luglio 2026 al 26 luglio 2027, al fine di consentire una trasposizione più ponderata, anche alla luce delle possibili modifiche che potrebbero interessare la direttiva nel quadro del più ampio disegno di semplificazione regolatoria dell’Unione europea (cfr. considerando 6).
- L’entrata in applicazione degli obblighi di due diligence è posticipata al 26 luglio 2028 per le imprese di grandi dimensioni, ossia: imprese UE con più di 3.000 dipendenti e un fatturato netto mondiale superiore a 900 milioni di euro, e imprese non UE con fatturato superiore a 900 milioni di euro nell’Unione. Il termine è poi posticipato al 26 luglio 2029 per tutte le altre imprese soggette all’obbligo secondo le soglie previste all’articolo 2, paragrafo 1 e 2, lettere c), della direttiva 2024/1760.
- L’obbligo specifico di rendicontazione relativo all’articolo 16 della CSDDD (che richiede la pubblicazione annuale delle informazioni sulle misure di due diligence adottate) decorre dal 1º gennaio 2029, per tutti i soggetti destinatari, in modo coerente con le scadenze differenziate sopra menzionate (cfr. considerando 5).
Un’opportunità strategica di adeguamento progressivo agli obblighi europei in materia di sostenibilità
Per il tessuto imprenditoriale italiano, caratterizzato da una prevalenza di imprese familiari, gruppi industriali a conduzione nazionale e operatori di medie dimensioni che partecipano a filiere globali, la Direttiva “Stop-the-clock” rappresenta un’opportunità strategica di adeguamento progressivo agli obblighi europei in materia di sostenibilità. L’effetto più rilevante del rinvio riguarda, infatti, la possibilità di rafforzare, in un arco temporale esteso, le strutture organizzative e di controllo interno necessarie a garantire una rendicontazione non finanziaria e un sistema di due diligence realmente efficaci e coerenti con gli standard europei.
Il differimento dell’applicazione della CSRD e della CSDDD, rispettivamente al 2027 e al 2028, consente alle imprese di programmare i propri percorsi di compliance, valorizzando soluzioni gestionali capaci di integrare gli standard europei con le specificità operative e settoriali dell’industria nazionale. Ciò si traduce, da un lato, nella possibilità di investire in strumenti di governance e controllo (es. comitati ESG, codici di condotta estesi alla supply chain, sistemi interni di raccolta dati ambientali e sociali); dall’altro, in una maggiore capacità di dialogo con advisor legali, società di revisione e stakeholder finanziari, in vista della redazione dei bilanci di sostenibilità e della valutazione degli impatti lungo le catene del valore.
Non si tratta, dunque, di un “congelamento” della transizione sostenibile, bensì di una pausa tecnica che, se ben utilizzata, può permettere alle imprese italiane di affrontare il nuovo scenario normativo con strumenti giuridicamente robusti e operativamente maturi. Sotto il profilo istituzionale, ciò implica anche la necessità di un rafforzamento delle attività di accompagnamento da parte delle autorità di regolazione, delle associazioni di categoria e degli enti territoriali, in una logica di sistema volta a evitare implementazioni frammentarie o meramente formali.
Conclusione
In conclusione, si può affermare che la Direttiva “Stop-the-clock” non costituisce un arretramento rispetto agli obiettivi strategici dell’Unione europea in materia di sostenibilità, bensì un atto di razionalizzazione normativa ispirato al principio di proporzionalità, volto a rendere più coerente ed effettiva l’attuazione degli obblighi giuridici in ambiti altamente complessi e interconnessi. La scelta di rinviare l’applicazione delle disposizioni contenute nella CSRD e nella CSDDD risponde alla consapevolezza che la transizione ecologica e sociale non può realizzarsi attraverso schemi regolatori rigidamente tempificati, ma necessita di una governance flessibile, pragmatica e progressiva.
Con l’intervento così illustrato, l’Unione riafferma il proprio ruolo di regolatore attento non solo agli obiettivi, ma anche agli strumenti e ai tempi necessari per conseguirli, nonché agli sforzi economici che gli operatori sono chiamati a sostenere.
Il valore della certezza giuridica, espresso chiaramente nei considerando della direttiva, emerge come parametro imprescindibile per l’effettività del diritto europeo e per la sua capacità di incidere realmente sulle condotte degli operatori economici. Tale certezza si rende ancor più necessaria alla luce delle oggettive difficoltà interpretative generate dai due testi normativi interessati dall’intervento in esame – la CSRD e la CSDDD – spesso criticati per via di tecnicismi ritenuti eccessivamente complessi e formulazioni poco intellegibili, che hanno reso l’applicazione concreta ostica tanto per gli operatori quanto per gli esperti del settore. La sostenibilità, da valore programmatico, si consolida così come parametro strutturale della regolazione, ma all’interno di un quadro che ne salvaguarda la concreta applicabilità e accettabilità economica.
Per le imprese italiane e, più in generale, per il sistema produttivo europeo, il rinvio illustrato rappresenta una finestra di opportunità per consolidare gli strumenti di governance ESG, potenziare la tracciabilità delle filiere, rafforzare i presidi di controllo interno e promuovere una cultura giuridica della sostenibilità realmente radicata. Il successo della direttiva non si misurerà soltanto nella sua attuazione formale, ma nella capacità degli attori coinvolti – imprese, legislatori nazionali, autorità di vigilanza – di sfruttare il tempo guadagnato per costruire un diritto della sostenibilità che sia, insieme, esigibile e sostenibile.
Stop The Clock : Proposal